Salviamo la Storia

Salviamo la Storia

Immaginiamo un mondo in cui si possano fare viaggi nel tempo, sempre in riferimento ai modelli citati fino ad ora, ammettiamo anche il fatto che tutte le nazioni abbiano trovato un accordo per permettere questi viaggi senza la paura che qualche malintenzionato possa andare a cambiare dei parametri vitali, sicuramente creando, come accade in molti racconti di fantascienza, un modo per tenere sotto controllo questa tecnologia, con verifiche di ogni genere, e che i viaggiatori siano accomunati dalla sete scientifica e non dal desiderio di arricchirsi (utopico), cosa si potrebbe fare senza eseguire modificazioni catastrofiche alla storia.

Innanzitutto ci vorrebbe un metodo per sincerarsi delle condizioni che troveremo all’arrivo, soprattutto se ci si deve materializzare fisicamente nell’ambiente, cosa che in genere non viene considerata nelle varie trame, ma importante per la salvaguardia del viaggiatore. Viste le modifiche della terra, gli eventi catastrofici che hanno plasmato l’ambiente che ci circonda, si deve porre particolare attenzione che il luogo non sia sotto diversi metri d’acqua, oppure che non sia troppo in alto, che non ci siano altri elementi in quel punto, tipo rocce od altro, che non sia interessato da eventi vulcanici o alluvionali, e cose di questo genere. Si deve anche considerare, soprattutto se si interagisce con la storia relativamente recente, che la posizione sia abbastanza nascosta, non dovrebbe essere possibile farsi vedere da altre persone, sarebbe quanto meno imbarazzante comparire, ad esempio, in mezzo alla piazza di Salem all’epoca della caccia alle streghe.

A mio parere il tema più classico di tutti, trattato in parte nel metodo “passaggio sicuro”, è il viaggio verso ere lontane della preistoria, per studiare le origini della terra, vedere comportamenti di animali estinti da milioni di anni. Per la storia più recente si dovrebbe porre maggiore attenzione, notare che in qualche caso sono rimasti, ad esempio, dei disegni rupestri, e addirittura anche Geroglifici Egizi, bassorilievi delle culture precolombiane, e la storia dei Vimana in India, che possono ricordare macchinari tecnologici, ma chiaramente resteranno ancora a lungo dei misteri storici irrisolti, magari frutto di una visita dal futuro.

Per questi periodi più ravvicinati si potrebbe comunque cercare di dissimulare con l’ambiente qualche videocamera che permetta la ripresa della vita circostante senza creare interferenze, si potrebbero avere immagini di battaglie o di altri eventi storici particolari, e qui ci sarebbe da sbizzarrirsi.

Ma forse l’aspetto più interessante di tutti è il recupero di ciò che, per un motivo o per l’altro, è scomparso dalla storia. Tra gli esempi di questo genere ricordo il film “Freejack – In fuga nel futuro” in cui, poco prima di un incidente mortale, viene prelevato un pilota automobilistico e portato nel futuro, un altro esempio molto simile riguarda un altro racconto in cui succede pressappoco la stessa cosa prima di un incidente aereo. In effetti qui si parla specificamente di recuperare elementi particolari, in altre occasioni si è sentito parlare di come sarebbe interessante arrivare nella Biblioteca di Alessandria d’Egitto prima dell’incendio che la distrusse, ma si pensi al Colosso di Rodi, alla statua di Zeus e di Athena create in oro e avorio da Fidia, e a tante altre cose di cui non si è trovata più traccia, però ancora si favoleggia oggi giorno. E’ altresì chiaro che questo prevede comunque una conoscenza accurata dei percorsi storici dei vari oggetti che si andrebbero a recuperare, non si può certo rischiare di alterare un aspetto come questo, per prendere qualsiasi oggetto si dovrebbero seguire i fatti che hanno portato alla sua perdita prima di eseguirne il recupero.

Per quanto riguarda il futuro potremo solo immaginare le nuove tecnologie che ci troveremo di fronte, il tema non si può comunque prendere alla leggera, in effetti non sarebbe certo consigliabile avere contatti con gente del futuro per acquisire formule o tecnologie prima che vengano scoperte, sarebbe quindi difficile, come capita nella trama di alcuni film di “Star Trek”, che coloro che viaggiano nel passato consegnino con una certa “nonchalance” questi elementi che non sarebbero ancora stati scoperti, modificando le conoscenze di un’epoca passata.

Diciamo che a questo punto si è descritto abbastanza un certo panorama sulle due tematiche di tempo trattate, nei prossimi articoli si affronteranno argomenti che sono inerenti a altri modelli di tempo, con una particolare considerazione del presente e del passato.

Primi tempi della pratica del Kyudo

Primi tempi della pratica del Kyudo

Quando si comincia a entrare nella pratica del Kyudo più approfonditamente, prendiamo contatto con regole relative a tutto l’insieme, ogni cosa è volta al giusto stato mentale che si deve avere per il proseguimento della pratica.

Tutto è importante, non solo quello che riguarda il tiro con l’arco specificamente, ma anche come muoversi nel Dojo, il rispetto per persone e strumenti, qualcosa che in Giappone viene insegnato, si può dire, fin dalla nascita, cosa che in occidente è presa con più rilassatezza.

Parlando del periodo che segue il primo sgancio, la caratteristica principale che si può quindi trovare è quella di adattamento, in effetti è molto utile arrivare a questa pratica passando per l’interesse alla filosofia e agli usi e costumi orientali, al contrario altri arrivano al Kyudo dopo avere letto il libro “Lo Zen e il Tiro con l’Arco” di Herrighel, pensando di trovarsi di fronte a qualcosa di più mistico, invece ci si trova in un mondo di regole che sono necessarie al metodo.

L’idea generale, verrà più volte ricordata nel corso del tempo, è quella che il vero centro si raggiunge quando si ha una lunga esperienza nel percorso, quindi diventa più importante che mai ricavare un tempo preciso per proseguire, elemento che fa allontanare molti dalla frequentazione, a titolo di esempio provate a pensare se, oltre ad approfondire gli argomenti e curare il materiale a casa, riuscireste a ricavare mezza giornata alla settimana per dedicarvi a un’attività extra-lavorativa; il nostro gruppo da diverso tempo pratica alla domenica mattina, un giorno, soprattutto nei mesi estivi, dedicato allo svago; si consideri anche il fatto di dover raggiungere un Dojo, visto che, al momento attuale, non è facile trovare gruppi che praticano quest’Arte Marziale.

Ci deve quindi essere una certa motivazione per tralasciare altre attività e potersi dedicare seriamente al Kyudo, in genere subito è proprio la voglia di imparare che spinge ad andare avanti, voler vedere quello che effettivamente c’è dietro questa filosofia interessante fino dai primi momenti.

A questo proposito, si comincia molto presto a confrontarsi con quello che ho sempre genericamente indicato come mentalità occidentale, considerando diversi elementi che in questo contesto perdono, in un certo senso, quell’importanza che sembra acquisita nella nostra società; uno dei primi a essere incrociato è quel senso diffuso sul fatto che è importante solo il fine che giustifica i mezzi, qui acquista importanza il metodo più corretto possibile per cercare il risultato.

Durante i primi mesi di apprendimento si è arrivati a imparare, per così dire, a grandi linee il modo di tirare; è fondamentale, nel tiro con l’arco giapponese, che l’arco non compie tutto il lavoro necessario per fare arrivare la freccia al bersaglio, ma è l’arciere che deve interagire con l’arco per fare uscire la freccia più potente, i primi tempi non si padroneggia la cosa completamente, quindi tirando dalla distanza regolamentare di 28 metri la freccia tende a cadere prima di arrivare alla zona bersagli.

Questa è la ragione per cui all’inizio si fa tirare la freccia a un bersaglio vicino, normalmente a un makiwara (posto circa a 2 metri di distanza, serve solo per fermare la freccia) o a 4-5 metri da un bersaglio normale, in modo da potersi allenare nei movimenti necessari senza vedere la freccia cadere, cosa che potrebbe demoralizzare l’arciere; questo è un aspetto normalmente non considerato, visto che altri tipi di arco danno tutta la potenza necessaria alla freccia autonomamente, lasciando all’arciere il compito di mirare e tendere la corda.

In questa fase è successo il primo episodio degno di nota che, a mio avviso, è molto esplicativo per la situazione delle mentalità: nella nostra palestra non c’era un makiwara, allora ho cominciato ad allenarmi a distanza ravvicinata dal bersaglio, c’è stato un giorno in cui abbiamo ricevuto persone in visita, mi pare che volessero eseguire fotografie; mentre mi stavo allenando uno di questi visitatori si avvicina e osserva il mio tiro, le frecce andavano più o meno nella zona soprastante il centro.

L’uomo sembrava mi guardasse lievemente divertito fino a quando, dopo qualche freccia, si è sentito in dovere di indicarmi che il centro era più in basso, io che nel frattempo forse ero lievemente innervosito dal suo comportamento, gli ho spiegato che per il tiro con l’arco giapponese ci si deve allenare anche nelle varie posture prima di potere sganciare una freccia valida, lui a quel punto ha detto “a me interessa fare centro in qualsiasi modo”, io ho risposto “a me interessa fare centro nel modo giusto”.

Questo piccolo aneddoto non vuole stabilire chi dei due avesse ragione, è solo per rimarcare la differenza delle due mentalità, cosa che, nel corso del tempo, si evidenzia in tutti i luoghi ove si fa una dimostrazione, chiaramente il pubblico apprezza solo se la freccia colpisce il bersaglio; con questo neanche voglio giudicare se una mentalità è meglio dell’altra, tutti bene o male abbiamo una nostra filosofia di vita, ognuno è una storia a se stante.

Andando avanti con una certa costanza si può vedere che la pratica inizia a dare i suoi frutti, tutto migliora coi suoi tempi, ma la strada è ancora lunga e i particolari da visualizzare sono diversi, il tutto deve portare alla parte più filosofica del Kyudo, lo “sgancio naturale” che è il momento in cui tutte le regole si armonizzano per tirare una freccia nel migliore modo possibile secondo la scuola.

Nel suono dello Shorin

Nel suono dello Shorin

Nel suono dello Shorin
Si quieta il mondo
Scende la sera

Ringrazio Yasuyo per la traduzione e traslitterazione del testo riportata di seguito:

Nel suono dello Shorin
Fu-e-no-ne-ni
笛の音に

Si quieta il mondo
ku-u-shi-zu-ma-ri-te
空静まりて

Scende la sera
ku-ru-yo-na-ga
くる夜長
(and an autumn evening comes)

Pubblicata al seguente link:

https://akshanmusic.jimdo.com/poesie/

Ringrazio il Maestro Akshan per la considerazione.

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