Quando si comincia a entrare nella pratica del Kyudo più approfonditamente, prendiamo contatto con regole relative a tutto l’insieme, ogni cosa è volta al giusto stato mentale che si deve avere per il proseguimento della pratica.

Tutto è importante, non solo quello che riguarda il tiro con l’arco specificamente, ma anche come muoversi nel Dojo, il rispetto per persone e strumenti, qualcosa che in Giappone viene insegnato, si può dire, fin dalla nascita, cosa che in occidente è presa con più rilassatezza.

Parlando del periodo che segue il primo sgancio, la caratteristica principale che si può quindi trovare è quella di adattamento, in effetti è molto utile arrivare a questa pratica passando per l’interesse alla filosofia e agli usi e costumi orientali, al contrario altri arrivano al Kyudo dopo avere letto il libro “Lo Zen e il Tiro con l’Arco” di Herrighel, pensando di trovarsi di fronte a qualcosa di più mistico, invece ci si trova in un mondo di regole che sono necessarie al metodo.

L’idea generale, verrà più volte ricordata nel corso del tempo, è quella che il vero centro si raggiunge quando si ha una lunga esperienza nel percorso, quindi diventa più importante che mai ricavare un tempo preciso per proseguire, elemento che fa allontanare molti dalla frequentazione, a titolo di esempio provate a pensare se, oltre ad approfondire gli argomenti e curare il materiale a casa, riuscireste a ricavare mezza giornata alla settimana per dedicarvi a un’attività extra-lavorativa; il nostro gruppo da diverso tempo pratica alla domenica mattina, un giorno, soprattutto nei mesi estivi, dedicato allo svago; si consideri anche il fatto di dover raggiungere un Dojo, visto che, al momento attuale, non è facile trovare gruppi che praticano quest’Arte Marziale.

Ci deve quindi essere una certa motivazione per tralasciare altre attività e potersi dedicare seriamente al Kyudo, in genere subito è proprio la voglia di imparare che spinge ad andare avanti, voler vedere quello che effettivamente c’è dietro questa filosofia interessante fino dai primi momenti.

A questo proposito, si comincia molto presto a confrontarsi con quello che ho sempre genericamente indicato come mentalità occidentale, considerando diversi elementi che in questo contesto perdono, in un certo senso, quell’importanza che sembra acquisita nella nostra società; uno dei primi a essere incrociato è quel senso diffuso sul fatto che è importante solo il fine che giustifica i mezzi, qui acquista importanza il metodo più corretto possibile per cercare il risultato.

Durante i primi mesi di apprendimento si è arrivati a imparare, per così dire, a grandi linee il modo di tirare; è fondamentale, nel tiro con l’arco giapponese, che l’arco non compie tutto il lavoro necessario per fare arrivare la freccia al bersaglio, ma è l’arciere che deve interagire con l’arco per fare uscire la freccia più potente, i primi tempi non si padroneggia la cosa completamente, quindi tirando dalla distanza regolamentare di 28 metri la freccia tende a cadere prima di arrivare alla zona bersagli.

Questa è la ragione per cui all’inizio si fa tirare la freccia a un bersaglio vicino, normalmente a un makiwara (posto circa a 2 metri di distanza, serve solo per fermare la freccia) o a 4-5 metri da un bersaglio normale, in modo da potersi allenare nei movimenti necessari senza vedere la freccia cadere, cosa che potrebbe demoralizzare l’arciere; questo è un aspetto normalmente non considerato, visto che altri tipi di arco danno tutta la potenza necessaria alla freccia autonomamente, lasciando all’arciere il compito di mirare e tendere la corda.

In questa fase è successo il primo episodio degno di nota che, a mio avviso, è molto esplicativo per la situazione delle mentalità: nella nostra palestra non c’era un makiwara, allora ho cominciato ad allenarmi a distanza ravvicinata dal bersaglio, c’è stato un giorno in cui abbiamo ricevuto persone in visita, mi pare che volessero eseguire fotografie; mentre mi stavo allenando uno di questi visitatori si avvicina e osserva il mio tiro, le frecce andavano più o meno nella zona soprastante il centro.

L’uomo sembrava mi guardasse lievemente divertito fino a quando, dopo qualche freccia, si è sentito in dovere di indicarmi che il centro era più in basso, io che nel frattempo forse ero lievemente innervosito dal suo comportamento, gli ho spiegato che per il tiro con l’arco giapponese ci si deve allenare anche nelle varie posture prima di potere sganciare una freccia valida, lui a quel punto ha detto “a me interessa fare centro in qualsiasi modo”, io ho risposto “a me interessa fare centro nel modo giusto”.

Questo piccolo aneddoto non vuole stabilire chi dei due avesse ragione, è solo per rimarcare la differenza delle due mentalità, cosa che, nel corso del tempo, si evidenzia in tutti i luoghi ove si fa una dimostrazione, chiaramente il pubblico apprezza solo se la freccia colpisce il bersaglio; con questo neanche voglio giudicare se una mentalità è meglio dell’altra, tutti bene o male abbiamo una nostra filosofia di vita, ognuno è una storia a se stante.

Andando avanti con una certa costanza si può vedere che la pratica inizia a dare i suoi frutti, tutto migliora coi suoi tempi, ma la strada è ancora lunga e i particolari da visualizzare sono diversi, il tutto deve portare alla parte più filosofica del Kyudo, lo “sgancio naturale” che è il momento in cui tutte le regole si armonizzano per tirare una freccia nel migliore modo possibile secondo la scuola.