Punti nodali

Punti nodali

Il modello i tempo che io definisco “per punti nodali” può essere esemplificato come una rete di momenti importanti nel fiume del tempo; questi punti, come accennato nel precedente articolo, sono gli eventi che hanno determinato il procedere degli avvenimenti.

Ampliando il concetto, si può dire che guerre, scoperte, personaggi influenti avrebbero un effettivo peso nella storia solo dopo il momento in cui si compie l’azione finale, cioè il momento preciso in cui viene vinta una guerra dall’una o dall’altra parte, si esegue una scoperta su cui si baseranno altre scoperte seguenti, oppure il momento dell’affermazione di un certo personaggio che da quel punto in poi influirà nelle decisioni di quella nazione, o comunque di un gruppo.

A questo punto la teoria potrebbe fare pensare che ci sono solo i grandi eventi storici di cui tenere conto, ma non esiste solo la storia scritta sui libri, è molto più capillare, quindi sono altresì importanti eventi di altro tipo, che si potrebbero considerare minori.

In questo modello temporale le variazioni tra un punto e l’altro risulterebbero relativamente ininfluenti, cioè si potrebbe modificare qualcosa senza cambiare immediatamente la storia, il nostro viaggiatore quindi avrebbe un po’ di tempo per riportare i fatti al suo svolgere corretto, tipo nel film “Ritorno al Futuro”.

In questo film il personaggio principale cambia un elemento della storia, precisamente l’incontro tra suo padre e sua madre, e a quel punto cerca di porvi rimedio, ritornando a far rimettere insieme i due, permettendo così di formare la sua stessa famiglia.

Da notare che per un certo periodo lui sapeva perfettamente quello che aveva cambiato, ma ancora poteva interagire per “rientrare nei parametri”, non superando il limite invalicabile, che in questo caso si trattava del ballo della scuola, in cui effettivamente i genitori si sarebbero fidanzati

Quello che invece dovrebbe succedere passato il limite in cui l’azione compiuta ha effettivamente cambiato il futuro è abbastanza complesso, chiaramente per quanto riguarda i film, o anche in letteratura, alla fine si deve fare in modo di avere una storia semplice e capibile, in questo caso il fatto che, dopo aver aggiustato le cose, il protagonista si ricordasse della propria vita precedente (ricordo qui che la regola considerata per questo modello temporale è che ci sia un solo fiume del tempo), cosa che, al modificarsi delle condizioni, non sarebbe possibile, visto che il procedere degli eventi non sarebbe avvenuto nella maniera precedente.

Le implicazioni di questa ultima affermazione vanno oltre il semplice fatto di non ricordare o meno episodi del proprio passato, si pensi al viaggiatore che volesse modificare un evento storico di vasta portata, che quindi può conoscere solo perché è nel suo bagaglio culturale, ammettendo che gli riesca effettivamente di modificare la storia, a quel punto l’evento non si sarebbe mai verificato, il paradosso verte principalmente su questo punto: se l’evento non è mai accaduto, come sarebbe possibile che il nostro viaggiatore possa essere andato a modificarlo?

Questo paradosso appartiene in maniera anche più critica al prossimo modello di tempo, cioè quello di “Azione e Reazione”.

(continua)

Il “fascino” del centro

Il “fascino” del centro

Nel corso della pratica si hanno tanti elementi che, a vario titolo, intervengono a livello mentale, ai quali si deve porre particolare attenzione per non lasciarsi distrarre da un corretto procedere, direi che uno di quelli più ricorrenti è il “fascino” del centro.

Da sempre qualsiasi cosa che compiamo, sia lavorativa, sportiva o anche affettiva, è stata sempre posta con un preciso obiettivo, tutto è finalizzato a uno scopo che determina anche il modo di operare, da cui si traggono i famosi assiomi “il fine giustifica i mezzi” e “in guerra e in amor tutto è permesso”.

Quindi in una disciplina sportiva come il tiro con l’arco, l’importante è, generalmente, mettere la freccia nel centro del bersaglio, e questo, quando avviene, dà una certa soddisfazione, che nasce spontaneamente essendo appagati del gesto compiuto.

Nel Kyudô questo, soprattutto per i principianti, è invece un impedimento; le regole del Kyudô sono state fissate nel corso di un lungo apprendimento da parte di Maestri del passato, queste devono portare a un tiro fatto in un determinato modo, con determinate condizioni per essere ritenuto valido, quindi non basta che la freccia colpisca, ma lo deve fare anche nel modo corretto.

Comunque è sempre innegabile che la soddisfazione del centro, essendo impossibile da controllare, alla fine intervenga a deconcentrare il praticante, soprattutto può prendere coloro che dimostrano di avere un certo talento per l’arco.

Il fare molti centri, soprattutto all’inizio della pratica, prima di capire che si deve avere una lunga esperienza e disciplina, può portare molte persone a credersi già brave in poco tempo, la difficoltà sta nel fatto che, se questa situazione permane, si finirà per non ascoltare più l’insegnamento delle regole, lasciando di conseguenza il gruppo.

Il motivo è da ricercare nel metodo stesso di come devono essere trasmesse le nozioni; l’arciere deve, soprattutto nella prima fase, studiare i vari elementi che permettono lo sgancio della freccia, arrivando lentamente a comprendere che il tiro è una costruzione armonica di tutte le componenti, è praticamente normale che vengano corrette posture che portano a modificare le condizioni dello sgancio.

Anche se la precedente situazione a prima vista può sembrare abbastanza regolare, la si deve riportare in un ambiente pratico: ci sono alcune giornate, e dopo qualche tempo possono capitare a tutti, in cui sembra che tutto funzioni a dovere, la maggior parte delle frecce va’ dritta sul bersaglio e sembra così di aver ottenuto dei buoni tiri, in genere è il momento in cui viene proposta una modifica, la ragione è quella di non lasciare assuefare l’arciere in uno stato che ancora non può essere quello corretto, ma a questo punto succede che non si riescono più a mettere le frecce nel bersaglio. Aggiungendo il fatto che magari anche la difficoltà quasi sempre aumenta, si può arrivare a un rifiuto mentale della correzione, visto che, dal punto di vista dell’arciere, di fatto ha creato una situazione non soddisfacente; questa cosa può essere superata solo con la fiducia nell’insegnamento, si deve ogni volta vincere un po’ se stessi per andare oltre un appagamento facile, se comunque il rifiuto mentale resta, a lungo andare, può diventare molto pesante, portando a una certa frustrazione che può causare l’abbandono della pratica.

Un altro aspetto del fascino del centro è ciò che accade durante una dimostrazione, in cui c’è un pubblico che assiste. In genere qui in occidente l’idea diffusa sul tiro con l’arco è quella espressa all’inizio di questo articolo, cioè che un bravo arciere mette la freccia nel bersaglio, ed è questo che la gente vuole vedere. Chi sta’ facendo la dimostrazione può sentirsi caricato della responsabilità di fare centro a prescindere dalla tecnica utilizzata, semplicemente per fare in modo che il pubblico apprezzi, quindi ci sarà delusione per ogni errore commesso, o anche gratificazione senza avere effettivamente merito, oltre al fatto di aver colpito.

Quando si pratica il tiro con l’arco giapponese si deve considerare che, nel lungo periodo iniziale in cui si studia la tecnica, non si può dire di aver compiuto un centro in maniera corretta, questo non vuol però dire che il centro non sia importante, ma si deve avere la pazienza e l’impegno di eseguire i giusti movimenti e raggiungere la situazione mentale ideale, solo a questo punto in poi c’è la possibilità di colpire nel modo corretto, questo certamente porta a una soddisfazione meno immediata, ma più profonda.

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